parole · racconto

19 Agosto 2020 (4 anni dopo) #savetheday

Quattro anni. Non potevo non commemorare. Le intenzioni iniziale erano ben altre ma poi arriva l’annuncio di #savetheday e tutto mi sembra più bello. Commemorazione, quindi, che eviterà la classifica del più stronzo e si concentrerà su cosa ho imparato. In quattro anni si imparano tante cose ed ora provo a riassumerle.

Ho imparato che non si possono perdonare le persone che non chiedono scusa. Non chiedere scusa significa non tenerci, non aver capito, non voler superare le cose, non voler bene. Ho imparato che non si può obbligare a voler bene. Ho imparato che non c’era del bene.

Ho imparato che non serve a nulla chiedere scusa. Per salvare alcuni rapporti a cui si tiene, si chiede scusa anche se non si capisce bene il perché. Lo si fa, si chiede scusa, ingoiando rospi di dignità e giustizia pur di non perdere legami. Ho imparato che non serve a nulla. Ho capito che non c’erano legami da salvare. Ho imparato che, certe richieste di scuse, di chiarimenti e di confronti, rappresentano solo inutili umiliazioni. Autoinflitte ed inutili umiliazioni. Ho imparato l’inutilità del chiedere scusa, a chi non se lo merita.

Ho imparato che non sono capace di smettere di voler bene. A senso unico, è vero, ma sempre di bene si tratta. Ho imparato che non riesco a lasciar andare quelli a cui voglio bene. Riesco ancora ad essere felice per loro, per le gioie della loro vita. Riesco ancora ad essere triste per loro, per le tragedie della loro vita. Ho imparato a tenermelo dentro. Lo impari quando non sai smettere di voler bene a degli stronzi.

Ho imparato che non sono più nel posto in cui non volevo più essere. Avevo finito tutto quello che dovevo finire. Non avevo più nulla da dire o da fare là. Ho imparato che sono stato il tempo necessario e nulla più. Ho imparato che  sono stato lì il tempo necessario per accoglierti. Curarti. Ho imparato che era giusto così e che ne sono grato.

Ho imparato che essere protettivi verso chi non lo merita, comunque mi lascia la coscienza tranquilla. Potevo e potrei togliere dei veli su tele sporche. Tele che ritraggono persone semplicemente ipocrite, brutte, false e cattive. Potevo e potrei. Non l’ho fatto allora per buon cuore e non lo faccio ora per una certa, poco umile, superiorità. Ho imparato che non sono capace di scendere sotto un certo livello, seppur la verità stia qui, sul mio divano. Ho imparato che per svelare alcune persone, dovrei scendere nella vasca dei liquami per togliere dai loro volti strati di letame e, sinceramente, non ho proprio voglia di sporcarmi. Ho imparato che preferisco risultare fesso ma pulito piuttosto che furbo e sporco di merda (per dirla con una certa classe).

Ho imparato che posso concedermi di sbagliare. Ho imparato di aver commesso degli errori. Ho imparato che errare fa parte del vivere. Ho imparato anche che mi giudico io per i miei errori. Si, preferisco, almeno sono consapevole di cosa sia fatto il pulpito dal quale mi giudico. Ci penso io, a scrivermi le sentenze. Ho imparato cosa ho sbagliato e, credetemi, nulla di cui nessuno di voi possa avere la minima qualifica ad indossare una toga e scrivere sentenze. Ho imparato ad analizzare i miei errori per scoprire, con un certo sollievo, che rimango con un bellissimo sonno notturno dovuto ad una coscienza serena e pacifica.

Ho imparato che si paga molto di più di quanto si debba fare. Ho imparato che le pene inflitte non sempre sono correlate al reato commesso. Ho imparato che i soldi, il prestigio, la politica, gli affari, la facciata, l’invidia, la scalata al potere e la piccolezza delle persone, entro certe mura vincono su tutto. Manipolano la realtà, distruggono vite e carriere, polverizzano l’umanità. Lo sapevo, ma l’ho imparato. A spese tutte mie.

Ho imparato che la lotta al nemico diventa più dura in correlazione a quanto si considera temibile il nemico. Grande paura, grande lotta. Grande timore di perdere, grande dispendio di energie per impostare la guerra. Grandi falle nel piano d’attacco, grandi colpi per indebolire la credibilità del nemico. Grande cattiveria utilizzata, grande paura di riceverne altrettanta. Grandi energie spese per pianificare e mettere in pratica una guerra, significano tanta paura del nemico, moltissimi dubbi sulle ragioni da portare avanti, tanto da perdere, tanta ma tanta ma tanta paura, ribadisco. Ho imparato che, se per la guerra oltra ai vertici dell’esercito, hai bisogno di armare anche i civili, è solo perché sai di averne fatta davvero tanta e necessiti di un un’aiuto per poterla spargere bene, tutta la tua merda. Ho imparato che, se ti trovi ad essere considerato un nemico, puoi valutare il tuo valore, la tua temibilità e la tua verità, sulla base delle armi che ti vengono puntate contro. Maggiori le armi, maggiore il tuo valore. Ho imparato che devo essere considerato alla stregua degli Stati Uniti con tutto l’armamentario e un centinaio di bombe atomiche puntate viste le armi che mi sono state puntate contro.

Ho imparato che sono incazzato come il primo giorno ma che si vive bene anche con angoli del cuore incazzati. Ho imparato che la rabbia esiste, pure l’odio esiste. Ho imparato che non impediscono di vivere sereni se li si riesce a gestire. Ho imparato che qualche vaffanculo ben assestato diventa terapeutico.

Ho imparato che non voglio diventare un uomo arrogante, cattivo, la cui ipocrisia colora di un rosso paonazzo il viso da stronzo.

Ho imparato che non voglio diventare un uomo inetto, spento, arreso, la cui insoddisfazione viene sfogata con invidia e passiva aggressività.

Ho imparato che non voglio diventare un uomo debole, sottomesso, i cui romantici principi vengono schiacciati dal potere altrui e trasformati in rabbia o sorrisi fuori luogo e fuori tempo.

Ho imparato che non voglio diventare un uomo incastrato, in un lavoro sognandone un altro, in una vita che emula quella di altri, riscattando il meglio di quello che mi capita in sostituzione alla vita che non ho avuto.

Imparato che non voglio diventare un uomo che usa gli altri, per brillare sul lavoro, per trarne vantaggi, per sembrare più bravo ai danni altrui.

Ho imparato che mi dilungo sempre troppo quando inizio a scrivere e che non riesco, comunque, mai a scrivere tutto ciò che vorrei.

Ho imparato che, dopo quattro anni, questa è solo una parte delle cose che ho imparato. Ho imparato che, ad un certo punto, bisogna definire un finale ed ora mi accingo a chiudere.

Ho imparato, qualcosa e forse poco. Chiudo qui, rimandando al prossimo nostro incontro la continuazione del racconto di ciò che ho imparato. Potrebbe essere un giorno diverso, dove non è arrivato il suo annuncio, il suo #savetheday e potrei essere meno felice. Ciò significherebbe meno miele e più trirolo. Si, perché ho anche imparato che la verità è sempre bella, subito o dopo mille anni. Ho imparato che potrei abbracciarvi domani con quel bene che sempre avrò. Ho imparato che non sempre arriva quel domani e non sempre il desiderio di abbracciare uccide la voglia di spargere qualche testata nucleare qua e là.

Ho imparato che non aver mangiato la fetta di torta, rappresenta tutta la vostra paura di non essere ancora abbastanza forti da essere spazzati via dal suo cuore.

Ho imparato che vi saluto tutti o voi che leggete, illusi che non si sappia che lo fate.

Ho imparato, che, in fondo, si impara solo amando. Ho imparato che domani ti dico ciao, e ti voglio bene. E l’ho imparato da te.

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