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Lettera di un educatore al Presidente del Consiglio e, per estensione, ai cari politici (eroi e poi?)

Caro Signor Presidente del Consiglio e, per estensione, cari politici tutti; vi scrivo oltrepassando la vostra posizione politica, la vostra visione ideologica, la vostra strategia di marketing nel gestire il ruolo che ricoprite; vi scrivo oltrepassando la mia posizione politica, la mia visione ideologica, la mia strategia di marketing nel ricoprire il mio ruolo di cittadino; vi scrivo facendo finta che siamo tutti maturi, intelligenti, in ascolto ed in grado di leggere delle parole per ciò che sono e non per quello che vorremmo fossero. Facciamo finta che ci interessa confrontarci e capirci, almeno per lo spazio di queste righe.

Scrivo per portare una riflessione. Scrivo per far notare una mia umile lettura della condizione degli educatori professionali in questa complessa società.

Premetto di avere, ormai, 41 anni e di lavorare come educatore da 22 anni. In questo percorso, ho speso la mia professionalità in diversi servizi, con diverse utenze, con diversi ruoli, con diversi risultati. Ho speso la mia professionalità con gli stessi problemi, con le stesse fatiche, con le stesse limitazioni, con le stesse poche considerazioni istituzionali.

Ho navigato nell’affascinante mondo degli adolescenti, nel gerarchico mondo delle scuole, nel drammatico mondo dei bambini sierpositivi, nel complesso mondo degli interventi domiciliari, nel chiassoso mondo delle comunità minori, nel pittoresco mondo della psichiatria e della disabilità; ho camminato nei drammi delle famiglie, negli abusi dei bambini, negli eccessi degli adolescenti, nelle praterie mentali degli psichiatrici, nelle gabbie invisibili dei disabili, nel sangue degli abbandoni, dei lutti, delle violenze. Ho percorso i corridoi dei tribunali, dei servizi sociali, degli uffici comunali, delle scuole, dei centri psico sociali, di appartamenti angusti, di reparti di ospedale, delle neuropsichiatrie. Ho percorso milioni di passi attraverso esperienze e servizi che ora non mi affiorano neppure alla mente, ho percorso mattonelle e pavimenti che neppure ricordo. Ho abbracciato persone, ascoltato vite, curato ferite, gioito, pianto, accolto e respinto, aiutato e danneggiato, amato e odiato, aiutato a tornare alla vita e salutato tra le braccia della morte. Insomma, vissuto una lunga e variopinta esperienza nel settore; ne ho messo alcuni cenni giusto per inquadrare il punto da cui parto a lasciarvi la mia riflessione.

In tutto questo percorso professionale, ho incontrato decine di colleghi, ho collaborato con decine di professionisti, lavorato con diversi settori e servizi educativi, sanitari, sociosanitari, diurni, residenziali, domiciliari, scolastici e via dicendo.

Ora, la situazione del mondo di questi servizi, ogni singolo giorno di ogni singolo anno, vive e lavora in prima linea.

Con gli ospiti a cui si rivolgono, siano essi minori, adulti, disabili, psichiatrici, alcolizzati, e via discorrendo.

Con le famiglie; ogni ospite ha una famiglia, ogni famiglia ha un dramma, ogni dramma ha bisogno di energie per essere affrontato.

Con le istituzioni, non sempre disponibili, non sempre allineati a dare risposte alle domande poste, a dare soluzioni ai problemi posti, a capire che i soldi sono solo una parte dei problemi posti.

Con la mancanza di risorse; mancanza di fondi, mancanza di strutture, di personale, di strumenti, di progetti, di tempo, di personale, di soluzioni, di porte aperte.

Con la mancanza di riconoscimento. Da parte della società, da buona parte delle figure professionali con cui si collabora, dal comparto scuola, dal comparto medico, dal comparto amministrazioni comunali, dal comparto politico nella quasi totalità, da parte delle leggi, delle tutele contrattuali, degli stipendi, dei dibattiti, del valore, del sudore speso e, in questo punto, potrei continuare ad oltranza.

Con l’assenza di orecchie che ascoltano, apprendono, interiorizzano le tante grida elevate su tutto ciò che non funziona.

Con l’assenza di occhi che guardino, scrutino le necessità, osservino i disagi, ammirino la passione.

Con la perenne convivenza che, un grazie per la vocazione all’aiuto, basti per fare felici i professionisti.

Con la costante ricerca di riconoscimento alla professione, alle metodologie educative, alla strategica importanza per il benessere della società.

In prima linea con il costante raccontarsi, convincersi e farsi bastare che le soddisfazioni della cura, dei sorrisi, degli abbracci dei nostri ospiti ci debbano bastare.

In prima linea. Con tante altre cose che non basterebbe una giornata di parole per essere segnalate.

In prima linea, sempre, ogni giorno, ogni ora di lavoro. Sempre, quotidianamente. Oltre le battaglie elevate a moda periodicamente; oltre Bibbiano, oltre la violenza sulle donne, oltre l’ecstasy, oltre l’alcolismo giovanile, oltre la riduzione del danno, oltre il bullismo, oltre qualsivoglia fenomeno da talk show.

In prima linea e talmente affannati a starci, in questa prima linea, da avere sempre poco tempo per farsi valere, per trovare canali di risonanza per portare i propri problemi di categoria; talmente in prima linea sempre sul filo dell’amare questo mondo da sentirsi in difetto a denunciarne le pecche, i disagi, i malfunzionamenti. Talmente in prima line accanto ai problemi, al dolore, al dover lottare ogni giorno in favore di persone fragili da sentirsi in colpa, poi, per lottare per se stessi.

In prima linea, con scelte professionali condivise, imposte, contrattate, strappate oppure condizionanti le proprie scelte personali; in prima linea a tenere equilibrio con mariti, mogli, genitori, figli, amici, parenti e affini vari.

Ora, caro Presidente, mi viene un nodo allo stomaco quando sento definire eroi tutti quegli educatori che sono in prima linea anche in questa pandemia. Mi viene odio per questa definizione di eroi. Trovo davvero fuori luogo, ingiusto, ipocrita, emozionale ma finto, controproducente, offensivo, riduttivo, vuoto e fuori dal mondo reale la definizione di Eroe. Tale definizione, in questo momento, non ci aiuta.

Eroi perchè? Eroi adesso? Eroi e poi?

No signor Presidente, non va bene definire eroi adesso gli educatori. Non va bene perchè la pandemia, seppur grave, è una emergenza. una che ha avuto un inizio e che avrà una fine. Un’emergenza che aggrava una situazione, non la crea per noi educatori. Un’emergenza che è famosa, certo e per ovvi motivi, ma che non è più faticosa di altre emergenze, per noi educatori. Un’emergenza che viviamo, gestiamo, combattiamo; un’emergenza che vinceremo, sconfiggeremo, che lasceremo alle spalle. Un’emergenza che, per noi educatori, sarà una tra le tante emergenze da vivere, gestire, combattere, un’emergenza che sarà una tra le emergenze da vincere, sconfiggere, lasciare alle spalle. Una, la famosa emergenza. L’emergenza cool. L’emergenza vip. E le altre, signor Presidente? Le altre emergenze? Le emergenze quotidiane? Le emergenze popolari, quelle non degne della cronaca? Le emergenze vere degli educatori, quelle di ogni turno, quelle di ogni servizio, quelle di ogni equipe, quelle di ogni intervento educativo? Quelle, signor Presidente, chi ci aiuterà a gestirle? Ci aiuterà, forse, il ricordo della definizione di eroi? Ci aiuterà, forse, essere stati parte di un’emergenza nobile e famosa?

Eroi non lo sono, gli educatori. Non lo sono. Il fatto di definirli tali, per il mio intelletto, diventa un’ammissione di colpa evidente e suona come un tentativo di camuffare mesi, anni di silenzio, di buio e di assenza di parole.

Gli educatori sono tanti, impegnati in tanti servizi, a servizio di tante persone. Sono ogni giorno al lavoro, a fronteggiare problemi, a lavorare in condizioni precarie e scarsamente riconosciute. Gli educatori studiano, fanno tirocinio, si aggiornano; sono professionisti, hanno competenze, specifiche caratteristiche professionali. Non sono eroi, ma neppure samaritani che, armati di buona volontà e intuito, esercitano una professione. Non sono eroi, ma persone che combattono costantemente laddovè ci sono i più fragili, i meno autonomi, i meno fortunati o semplicemente i più sofferenti. Non sono eroi, ma spendono le loro energie per lavorare in un settore non produttivo da un punto di vista monetario. Non aiutano la società ad arricchirsi. Lavorano in servizi che risultano vuoti a perdere per gli investimenti economici dei Comuni, delle Regioni e dello Stato. Non sono eroi, ma fanno i conti alla fine del mese, fanno fatica a mantenere le proprie famiglie, ad accendere un mutuo, a risparmiare, a mettersi in sicurezza economica, ad essere sereni nella pianificazione del proprio futuro. Non sono eroi, ma studiano e lavorano tanto e vengono riconosciuti e pagati poco. Gli educatori non sono eroi, ma ci sono ogni santo giorno dell’anno, a gestire emergenze sociali, a supportare il fondo della piramide sociale, a nuotare sott’acqua con gli ultimi. Non sono eroi e le dico, in tutta onestà, che irrita questa definizione in tale momento storico.

Non sono eroi. Adesso. Deve decidere, signor Presidente. Reputa siano degli eroi adesso? Lo reputi solo e semplicemente se è convinto lo siano sempre. Solo se reputa siano in uno stato di eroismo ogni giorno della loro carriera. Lo reputi solo se è disposto a dire, contemporaneamente, che sono eroi dimenticati dallo Stato, dalle istituzioni, dalle associazioni di categoria, dalla giustizia retributiva. Li reputi eroi adesso, solo se si ritiene in grado di mettere il naso nella loro situazione contrattuale, se si ritiene in grado di gestire i rinnovi dei contratti nazionali delle cooperative, lasciati scaduti per anni, rinnovati a danno economico dei lavoratori, non tutelanti e, per alcuni settori, addirittura offensivi. Li reputi eroi solo se può prendersi a cuore la loro causa, il loro riconoscimento, la loro valorizzazione e la loro dignità professionale. Li chiami eroi oggi, sempre che sappia chi sono e cosa fanno. In caso contrario, caro Presidente, non li chiami eroi oggi. Non li chiami eroi mai. Anzi, continui a non chiamarli. Li ignori come avete fatto sino ad ora, lo troverei più dignitoso.

Gli educatori, (ma potrei aprire le considerazioni fatte fino a qui anche agli operatori socio sanitari, agli infermieri ed a tante altre categorie impegnate nei servizi sanitari, socio assistenziali ed educativi), lavorano, lottano, sperano fianco a fianco delle persone in difficoltà anche in questa emergenza, signor Presidente. Anche in questa emergenza, ma erano lì a lottare prima di questa emergenza. Saranno lì a lottare anche dopo questa emergenza. Saranno lì, anche quando non sarà più di moda metterli in un tweet accanto alle parole emergenza, eroi, grazie e andrà tutto bene.

Gli educatori ci saranno, anche dopo i vostri decreti; chissà se ci sarete voi, una volta che l’emergenza sarà finita. Chissà, signor Presidente che ne sarà di questi eroi. Gli educatori lavoreranno come sempre, tra l’emergenza di non avere le ore per coprire il servizio e la famiglia che non può pagare la retta; gli educatori lotteranno contro le loro stupide emergenze di non avere le ore per accompagnari i bambini in gita se non lasciandoli scoperti durante la settimana a lezione; gli educatori torneranno a lottare per ottenere un farmaco, una visita specialistica entro due anni, un letto assistito, una carrozzina decente. Gli educatori torneranno a fare i conti a fine mese, a litigare con le famiglie per le tante assenze da casa di giorno e di notte, a spiegare perchè tanti sacrifici non vengono mai riconosciuti. Gli educatori torneranno a fare questo e lei, Presidente, dove sarà? A lottare per questi eroi? Non credo, ma, essendo un’inguaribile romantico, la immagino così, a lottare per questi eroi apparsi in questa Italia tra fine febbraio e inizio marzo 2020. I nuovi eroi, esseri mai notati prima dalle vostre telecamere legislative.

La immagino, signor Presidente, a sposare la causa di questi eroi, che sognano solo qualche diritto riconosciuto in più, non certo la gloria del tweet più visto della settimana.

La saluto, signor Presidente, e per estensione saluto tutti i suoi colleghi.

Eroi e poi?

con assoluto rispetto, Davide Pontoglio.

10 pensieri riguardo “Lettera di un educatore al Presidente del Consiglio e, per estensione, ai cari politici (eroi e poi?)

  1. Chi fa il proprio dovere e ,con dignità ed onore opera nella società nella quale vive, non è un eroe, è un onesto cittadino. Molti sono coloro, nessuna categoria esclusa, che in vari ambiti contribuiscono allo crescita e sviluppo sociale (educatori, personale sanitario, forze di polizia, agricoltori, operai…). La politica dovrebbe cercare di risolvere (o almeno provare) i problemi di tutte le categorie senza privilegiarne alcuna. Bertolt B.” sventura è quella terra che ha bisogno di eroi”. Comunque grazie.

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  2. Eccomi qui di nuovo, come promesso, Davide. Devo dire che questo tuo post mi è piaciuto molto. Naturalmente ci sarebbe tanto da dire: io lavoro come operatore del sociale (sono assistente sociale, ma poco importa la qualità, quel che importa è che non mi sono mai sentita parte integrante della catena di comando, e ho sempre preferito lavorare per passione, e non per dovere…) e condivido pienamente, almeno in parte, le tue parole. Sottopagati, non valorizzati, non riconosciuti, e potrei andare avanti ancora per molto. Stare “in prima linea”, “in frontiera”, è il mio mestiere, tanto amato: soprattutto quando l’ho scelto, quando consapevolmente ho pensato che fosse la mia passione. Poi ho capito tante cose, man mano che il tempo passava. Oggi: oggi lavoro in un servizio pubblico, che, guarda un po’, è stato il primo a chiudere tutte le porte. Capito; Davide? Tutte le porte. R io, che non ero d’accordo, sono stata ancora più isolata. Minacciata, quasi, di essere un’untrice, perchè quelle porte le volevo tenere aperte. Figata, eh? Io mi batterò sempre contro questo modo di vedere le cose e di concepire il lavoro. Ma non siamo in tanti.Anzi, direi, una minoranza, tra le assistenti sociale che lavorano nel pubblico, Terribile, da vergognarsi, ma vero.
    Tutto il meglio.

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    1. Ciao, ti ringrazio molto per le tue parole. Purtroppo la verità è davvero meno romantica di quanto si possa pensare. Fortunatamente esistono persone che ne riflettono, ne parlano, ne scrivono e ne fanno, ogni giorno, un motivo di pensiero ed azione. Dobbiamo sempre darci la possibilità di portare un pensiero, bene o male accolto poco importa. Dobbiamo narrare e sperare di aprire sprazzi di consapevolezza o, almeno, di dubbio negli altri. Grazie ancora, è stato un piacere questo incontro.

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  3. Ho molti colleghi di università, amici negli anni, che lavorano in ambito educativo e li stimo moltissimo. Conosco la loro fatica e la loro frustrazione e ti ringrazio per questa lettera aperta. L’ho condivisa sulla mia pagina FB perché wordpress è un universo troppo piccolo e inespugnabile mentre la circolazione libera delle idee ha bisogno di spazi più ampi.

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    1. Ti ringrazio molto. Purtroppo dopo anni nel settore è stato facile centrare il punto. Mi illudo sempre possa cambiare. Provo a raccontare, nella speranza di creare qualche consapevolezza in più. Grazie per avermi letto.

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  4. In questa lettera che ho letto da cima a fondo, ho scoperto la passione in un lavoro, Credo che sia proprio questa passione che rende persone come lei, un educatore prezioso.
    Lei dice di non essere un eroe, forse nel senso letterale della parola, ma in effetti lei mette il suo sangue, la sua mente, la sua persona al servizio di altri, con responsabilità e competenza.
    Anche se i riconoscimenti sono sempre avari, nella sua coscienza saprà di aver fatto il possibile.
    La ringrazio.

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